L’Anna Karenina di Wright profondamente legato all’Anna Karenina di Tolstoj.
Un film fatto di immagini e sensazioni che riconducono alle pagine del capolavoro tolstojano.


Russia, fine 1800. Scompiglio e disarmonia regnano in casa Obloskji: Dolly ha scoperto l’infedeltà del marito Stepàn Oblonskij, buontempone per eccellenza. Questi invia una lettera alla sorella Anna, pregandola di accomodare la situazione. Anna, sposata all’alto funzionario Aleksèj Karènin, è una grande dame dell’alta società pietroburghese, è una donna molto affascinante, amena, apprezzata e ben voluta da tutti. Ma le cose inizieranno a cambiare nel momento in cui, alla stazione di Mosca, il suo sguardo incrocia quello del giovane conte Aleksèj Vrònskij. Da quell’istante la sua situazione tramuterà fino a diventar fatale.

Dopo numerose trasposizioni cinematografiche del capolavoro tolstojano, arriva l’Anna Karenina del 2012 con la regia di Joe Wright che ripresenta il duo Knightley e Macfadyen, già diretto nel celebre Orgoglio e Pregiudizio del 2005. Ma questa volta i due non sono più amanti orgogliosi, bensì consanguinei: sorella e fratello.
La Knightley porta in scena una Anna risoluta e fragile, con la chioma inanellata, le mani bianche, le lunghe dite ornate e gli occhi bistrati.
Se l’Aleksej Vronskij di Aaron Johnson emana fascino da tutti i pori con quei suoi riccioli biondi, Jude Law ha saputo rappresentare un Aleksej Karenin severo, greve, ma anche compassionevole con la voce mozzata nei momenti in cui viene messo di fronte a quella realtà che cerca tanto di velare.
Matthew Macfadyen interpreta uno Stiva (Stepàn Oblonskij) perfetto: è esuberante, gaudente, bonario, con la risata sempre pronta e quei suoi baffoni che risaltano agli occhi.
A Levin (Domhnall Gleeson) non è stata ancora data giustizia, la sua caratterizzazione non è riuscita a esprimere tutto il tormento interiore e esistenziale che fa da sfondo al libro. Ma, in compenso, occupa un posto definito all’interno della pellicola, cosa che non succede nelle altre trasposizioni filmiche.
E se da un lato aleggia la passionale, misteriosa, fine bellezza di Anna, dall’altro si contrappone la dolce, candida e virginea bellezza di Kitty. Una Kitty, interpretata da Alicia Vikander, che agli occhi di Levin incarna la donna-angelo dantesca con il dono di inalzare l’uomo in una dimensione spirituale ultraterrena, purificandolo.












L’Anna Karenina di Wright è un’opera mista che unisce la struttura del teatro, la poesia delle immagini, la dinamicità della musica e la spettacolarità del cinema.
È un film fatto di immagini legate tra loro da melodie sublimi, a discapito però dell’introspezione e dell’analisi psicologica dei protagonisti. Ecco, è un’opera che bada più all’estetica che al contenuto in sé, per tale motivo definirei l’Anna Karenina di Wright strettamente legata all’Anna Karenina di Tolstoj. L’intera opera di Wright, infatti, non è altro che un susseguirsi di immagini che richiamano alla mente interi o parziali passaggi del «capolavoro assoluto della letteratura del XIX secolo» (citando le parole di Vladimir Nabokov). L’obiettivo è quello di suscitare precise sensazioni che, per chi ha letto il romanzo, vengono maggiormente apprezzate.
p. es.
La sequenza qui a destra riportata, a mio avviso, trasuda l’aroma stesso
delle pagine del romanzo. Quando Levin decide di cambiare vita in
nome di una esistenza bucolica e semplice, ha un’epifania nel momento
in cui scorge Kitty in carrozza. L’apparizione di una creatura così angelica
e dolce lo fa redimere dalla sua decisione e lo spinge a riabbracciare i suoi
vecchi ideali. Questa è una sequenza fondamentale nel romanzo tolstojano
per sottolineare come Levin sia instabile psicologicamente; è in cerca di un
punto di svolta nella sua vita, ma non sa quale sia. Vedendo una tipica
giornata contadina, il lavoro manuale dei mugiki, è convinto di quale sarà
il suo destino, ma basta la visione di Kitty per riportarlo sui suoi passi iniziali.
La particolarità di questa ennesima pellicola sulla ''grande dame pietroburghese'' è la messa in scena teatralizzata. La pellicola è una successione di scene teatrali che si svolgono su un palcoscenico con tanto di carrucole e fili necessari per il cambio di scenografia.
Sul palcoscenico teatrale si svolgono le storie di una decadente aristocrazia russa, quasi per sottolineare come la nobiltà sia ormai solo un prepararsi sfarzoso e pomposo, un continuo impomatarsi, per poi andare in scena di fronte al grande mondo, all’alta società fatta di apparenze e convenzioni indissolubili. Siamo a fine 1800, in una Russia confusa tra occidentalizzazione e russificazione, dove la nobiltà segue le nuove tendenze europee, come il liberalismo, abbracciandone gli ideali solo per moda.



Il teatro è stato il progenitore del cinema.
È dal teatro, infatti, che il cinema ha attinto storie e forme della narrazione. I primi film venivano proiettati e anche realizzati all’interno dei teatri e la recitazione degli attori, soprattutto negli anni del muto, era mimica e istrionica, come quella teatrale. Si potrebbe definire il cinema delle origini come teatro filmato. Si caratterizza, infatti, per presentare una sola inquadratura, la cinepresa fissa, i personaggi ripresi a figura intera e il set allestito con scenografie teatrali. I film di Méliès, in modo particolare, sono tableaux vivants, film a quadri.

È un film che danza su simbolismi. Il colore degli abiti di Anna, che passano dal nero al rosso, la racchiudono in una dimensione fatale e passionale, del tutto in contrapposizione con il vellutato e candido abito bianco di Kitty che richiama la purezza e la genuinità.


Magistrale è la sequenza del ballo premonitore, dove i colori degli abiti sottolineano la contrapposizione delle due figure femminili.
Anna: donna peccatrice, donna caduta.
Kitty: donna-angelo.
A tal proposito, i costumi sono uno dei gioiellini del film. La costumista Jacqueline Durran, (già collaboratrice di Wright in Orgoglio e Pregiudizio e in Espiazione) ha fuso la moda degli anni ‘50 del 900 con l’eleganza dell’aristocratica Russia del 1870, dando così vita a degli abiti raffinati e originali. Non a caso, Anna Karenina si è aggiudicato nel 2013 l'Oscar ai migliori costumi.

Silhouette a clessidra con ampie gonne e vitini di vespa, must del ''New Look'' degli anni ’50 del 1900; inventata da Christian Dior. [Foto presa da elisamotterle.com, sito che vi consiglio per approfondimenti sulla moda.]

Negli anni 70’ del 1800, il volume delle gonne si sposta sul retro e viene arricchito da panneggi e arricciature. L’abito presenta maniche eleganti, cappe, scialli o pellegrini e, in alcuni casi, un collo alto.

Silhouette a clessidra con ampie gonne e vitini di vespa, must del ''New Look'' degli anni ’50 del 1900; inventata da Christian Dior. [Foto presa da elisamotterle.com, sito che vi consiglio per approfondimenti sulla moda.]
Ma adesso passiamo alla colonna sonora che considero il vero gioiello del film, la colonna portante della messa in scena pseudo-metateatrale. Il compositore, l’italiano Dario Marianelli, è anche lui uno dei pezzi forti della troupe di Joe Wright. Ogni brano composto si integra perfettamente con l’ambientazione del film ed è proprio la colonna sonora a far respirare l’atmosfera del tramonto dell’Impero Zarista con i suoi accenni alla musica tradizionale russa.
NOTA DI APPUNTO
Se si presta attenzione, in alcune scene si riesce
a captare un sommesso vociare russo, col fine
di immedesimarsi maggiormente nella storia.



Tableaux vivants
Anna Karenina è un richiamo alla pittura.
Ho trovato diverse analogie tra alcune scene della pellicola e alcune rappresentazioni pittoriche che propongo qui di seguito.
1. I paesaggi à la Monet.
Anna, reggente il parasole, è immersa in un prato di colori pastello. I paesaggi si vestono di pennellate dinamiche e veloci, richiamando così l’ondulare dell’erba al passaggio del vento: sembra che viva in un sogno.
2. Il capo anguicrinito della ‘’Medusa’' di Pieter Paul Rubens.
La chioma di Anna pare il capo anguicrinito della Medusa dal quale crescono serpi impazzite che si aggrovigliano le une tra le altre. Il volto esangue, con la bocca appena socchiusa per esalare l’ultimo respiro e le labbra vermiglie, trasmette sia fascino e sia repulsione. La Gorgone lotta ancora contro la morte, ma il suo destino è segnato, invece la morte di Anna è solo rimandata.




3. Il fratello di Levin: un mancato rivoluzionario.
Nikolaj, fratello di Levin, è sul punto di morte. La composizione delle inquadrature ricorda molto quella del ''Cristo morto'' di Mantegna. Il corpo di Cristo, cosparso di profumi, è posto supino ed è semicoperto dal sudario, come lo è la figura di Nikolaj che è adagiata nel suo capezzale. Da notare soprattutto il dettaglio dei piedi, i quali occupano il primo piano e sono proiettati verso lo spettatore. Il fratello di Levin viene presentato come un mancato comunista (i primi accenni alla futura riv. bolscevica del 1917) che si batte per l’uguaglianza tra i popoli, così come anche Cristo. Potrebbe sembrare blasfemo, ma ho sempre considerato il personaggio di Gesù come il primo comunista; in fondo cristiani e comunisti hanno sempre avuto gli stessi ideali.
4. L’isolamento da parte della società.
Il dipinto di Degas rappresenta una donna ormai disfatta e abbandonata a se stessa, seduta di fronte ad un bicchiere d’assenzio (lei si consola con l’assenzio, Anna con l’oppio).
Lo sguardo è spento, perso nel vuoto, i suoi abiti paiono lussuosi, ma non fanno altro che trasmettere maggiormente la miseria che la avvolge, la mente vaga in copiosi pensieri tristi.
È come se «pensasse al tempo perduto, a quello che non è stato, ma che poteva essere, alla vita che avrebbe potuto osare, ai sogni d'infanzia e alla realtà del presente» (Federica Florio). Anna, contrariamente, ha osato, ha cambiato vita proprio per non ridursi in quello stato, ma a cosa è servito? Adesso, cerca soltanto di resistere agli sguardi roventi e torvi della alta società.

Scheda cinematografica
Anna Karenina
Genere: in costume
Regia: Joe Wright
Anno: 2012
Paese di produzione: Regno Unito
Rapporto: 2,35:1
Soggetto: Anna Karenina di Lev Tolstoj
Sceneggiatura: Tom Stoppard
Fotografia: Seamus McGarvey
Montaggio: Melanie Oliver
Musiche: Dario Marianelli
Scenografia: Sarah Greenwood
Costumi: Jacqueline Durran
Un film fatto di immagini, basato puramente sull'estetica.
